Riflessioni aperte sulla festa del lavoro.
Bisogna parlare di lavoro, non oggi che è festa, ma domani e dopodomani e ancora e ancora… perché se sono poche le persone nel mondo che si dedicano ad imparare ciò che li emoziona, ciò che li muove e motiva, e che fanno veramente ciò che amano per vivere e mantenere i loro cari, allora c’è un’emergenza da affrontare.
Il valore dell’impegno, del sacrificio, dello sforzo e della cura si stanno affievolendo e dobbiamo fare qualcosa. C’è un piacere profondo, personale e reciproco, nel mettere al servizio della comunità le proprie competenze e la propria passione che non possiamo perderci.
Il sorriso della fruttivendola, il saluto caloroso del cassiere del supermecato, il ricercatore che si illumina parlandoti del suo progetto, l’attore che riesce a farti piangere le lacrime che non hai mai pianto, la barista che ti incoraggia a bere il caffè con calma, la regista che cambia il modo in cui baci i tuoi figli, l’operaio che sfiorando il muro ti dice “queste pareti ne vedranno delle belle”, il dottore che ti chiede con sincerità come stai, lo scrittore che ti permette di viaggiare, il contadino che ti fa annusare estasiato la sua cicoria, questi e molti altri sono i lavoratori che cambiano il mondo.

Di recente, ad una conferenza, ho ascoltato Pupi Avati sostenere con grande fervore che ognuno di noi ha una dote e dovrebbe coltivarla per il bene della collettività, e che ognuno di noi dovrebbe sentirsi insostituibile.
Forse se tutti smettessimo di accettare certe condizioni di lavoro, facessimo con amore ciò che sappiamo fare con l’insaziabile voglia di imparare ancora, e se considerassimo fondamentale essere valorizzati per ciò che siamo e facciamo, romperemmo quella bolla di stress e di tensione che ci impedisce di respirare ed aprirci verso l’altro.
Forse fare ciò che desideriamo per il periodo in cui vogliamo farlo con impegno e dedizione ci renderebbe fieri di noi stessi e animali bisognosi di ascoltare, di dare e condividere. Forse, se tutti ci sentissimo pieni, non avremmo bisogno di togliere niente a nessuno, di competere e di combattere costantemente per essere visti, rispettati ed ascoltati.
Forse il tempo non sarebbe qualcosa da ottimizzare, sfruttare e frantumare, forse non sarebbe così sfuggente e così immediato. Forse saremmo, anche solo per un attimo, totalmente lì dove vogliamo essere, soddisfatti. Ma questo non va bene perchè, lo sappiamo, un consumatore soddisfatto smetterebbe di comprare e di buttare vecchi prodotti per comprarne di nuovi. Forse però non è questo che ci rende comprensivi, solidali, volti all’altro e uniti. Anzi.
Ma magari mi sbaglio.
Un saggio disse, fiero:
“Lavorare mi fa bene, mi mantiene sano e giovane. I pilastri per l’ormeggio delle navi nel lago li ho piantati io, con le mie mani, ti rendi conto? E le pannocchie che coltivo sono oro puro, sono uniche”.
Quel saggio era mio nonno quando gli dicevo che poteva riposarsi e le pannocchie le regalava a tutto il paese.
~ Written by Veronica Boniotti – Seesaw Project.. ~