«UN MAPPAMONDO CHE NON INCLUDA UTOPIA
NON MERITA NEPPURE UNO SGUARDO»Lewis Mumford (1921)
Per la seconda edizione del PAN Festival abbiamo sentito il bisogno di parlare di Utopia.
Stando all’etimologia greca, il termine indica sia un luogo buono e dunque ideale (eu-topos) sia un luogo inesistente (ou-topos), un non-luogo (a-topos).
Il desiderio è stato quello di creare un’isola che non c’è attraverso il Festival, ovvero di dedicare uno spazio e un tempo in cui piantare i primi semi per la realizzazione di una o più isole connesse tra di loro che apparentemente non possono esistere ma che incarnano un ideale verso cui tendere per migliorare la nostra società.
Ernst Bloch, Walter Benjamin e Herbert Marcuse hanno richiamato l’attenzione sull’Utopia come tensione verso il futuro e come apertura di nuove possibilità rispetto al mondo dato. Ci siamo proposti di partire da qui e di declinare questo concetto nella nostra attualità come possibilità di immaginazione progettuale collettiva.
L’Utopia è sempre relativa alle necessità e ai desideri di una certa cultura e di una determinata comunità, a livello macroscopico, ed è relativa anche rispetto ad ognuno di noi, ovvero ogni persona ha una sua idea di Utopia abbiamo ritenuto importante ascoltare e condividere.
Per questo abbiamo chiesto a tutti i nostri meravigliosi artisti ospiti che idea di mondo si immaginassero.
E hanno risposto così:
Margherita Bergamo Meneghini: “Mi immagino un mondo in cui, nel caso del messaggio che vogliamo trasmettere con questo spettacolo, ci sia più apertura a una comunicazione non verbale che potrebbe creare dei ponti comunicativi o della semplicità di comunicazione per poter completare la comunicazione verbale che delle volte è un po’ limitata o anche quella può essere interpretata e dare spazio e attenzione, sia da dentro sia da fuori, come chi cerca di capire, capire lo stato, la posizione e anche l’accessorietà e addirittura evolvere da lì verso qualcosa di più espressivo nella comunicazione non verbale. Io ci metto della danza per dare molto spazio a questa ricerca espressiva però anche nella normalità, perchè no, dare spazio a un’espressione più variata, rispettosa ma che arriva. Un mondo danzato”
Red Fryk Hey: “Mi immagino un mondo in cui si possa essere libere/i di essere se stessi/e”.
Jelix: “Mi immagino un mondo in cui la diversità non è più un problema”.
Compagnia delle Nuvole: “Vorrei un altro mondo non importa quale ma con ogni cadavere più squisito dell’altro”.
Marta Cellamare e Riccardo Pisani: “Ci immaginiamo un mondo in cui i pesci respirano anche sulla terra, in cui c’è una presa di coscienza attiva dei processi, non necessariamente vivere passivamente ciò che si attraversa e in cui il dialogo sia universale”.
Valentina Pennacchio: “Mi immagino un mondo in cui siamo tutti inclusi e in cui questa utopia sia possibile”.
Polipi alla Gogna: “Mi immagino un mondo in cui sia accettato il casuale”.
Ecumene: “Mi immagino un mondo in cui la libertà è nell’aria ed è accessibile a tutti”.
E.P. Bellum: “Mi immagino un mondo in cui c’è molta fantasia. Un mondo dove la fantasia domina. Vorrei un mondo più incentrato sulla creatività e sulla fantasia in quanto il quoziente intellettivo non ha un futuro se non si ha fantasia. Come, appunto, la scienza insegna: la scienza è fatta di teoria e poi di pratica per confermare questa teoria però la teoria parte dal nulla quindi dalla capacità dell’uomo di immaginare qualcosa di nuovo. Secondo me il vero futuro è proprio aumentare la mente umana per permettere alla mente di viaggiare di più con la fantasia per permettere di vedere cose che non ci sono”.
Compagnia Chierici-Cicolella: “Mi immagino un mondo in cui anche chi fa questo mestiere, oltre a dire la propria nel farlo, possa essere ascoltato su più larga scala, cioè possa avere una forma di riconoscimento vera e totalitaria, non solo a livello burocratico, ma anche a livello di pubblico, di tutela legale. Una protezione e un riconoscimento in più per tutti gli artisti”.
“Mi immagino un mondo in cui tutti possano esprimersi liberamente, magari attraverso l’arte perché anche se non lo fanno di lavoro aiuta le persone a liberarsi e magari anche solo da spettatori trovare una maniera di esprimere sé stessi nel condividere qualcosa”.
Simone Pacini: “Mi immagino un mondo in cui la convivenza tra i popoli e le persone non sia solo uno slogan ma sia veramente reale e possibile”.
Fucina Macchiavelli: “Mi immagino un mondo in cui ci sia qualcosa da dire e in cui la musica sia uno dei linguaggi preferiti dai bambini”.
DJ Remo’o: “Mi immagino un mondo in cui la musica e il ballo riacquisiscano la loro importanza per l’uomo, perché è una cosa che esiste dalla preistoria, che unisce e che ha permesso all’uomo di evolversi. Vorrei che il rito della festa, culturalmente e a livello profondo, venga rispettato e considerato più centrale nella vita”
Collettivo Clochart: “Mi immagino un mondo in cui non ci sono i soldi, dove chi ha di più da a chi ha di meno affinchè tutti stiano bene. Se togli i soldi togli il potere, se togli il potere togli gli interessi e forse potremmo essere migliori?”
“Mi immagino un mondo in cui senza guerra e la cosa a cui dovremmo puntare come umanità è che l’altro deve sempre venire prima di me quindi mi immagino un mondo in cui siamo tutti disposti a fare un passo indietro e mettere da parte il nostro ego per gli altri”.
“Mi immagino un mondo in cui nessuno giudichi l’altro, nessuno provi invidia per quello che le altre persone fanno, perchè l’invidia può portare a guerre e scontri quindi un mondo in cui il confronto è libero e che ci sia davvero una vera libertà di pensiero e di espressione”.
“Mi immagino un mondo in cui l’individualità e la collettività possano andare di pari passo senza che uno intralci l’altro”.
Electric Circus: “Mi immagino un mondo in cui Paolo non viva più a Trento ma a Torino (è l’unico) e per noi sarebbe tutto più comodo. Che dici Paolo?” “L’unico periodo in cui ho vissuto a Torino non abbiamo fatto prove”.
“Mi immagino un mondo in cui si possa stare un po’ più tranquilli sotto tutti i punti di vista perchè sono un po’ stanco e sono solo agli inizi!”
“Mi immagino un mondo un po’ più lento però con groove”.
“Mi immagino un mondo in cui riesco sempre ad avere la risposta pronta a questo tipo di domande”.
“Mi immagino un mondo in cui sogniamo tutto il giorno e stiamo tranquilli”.
“Mi immagino un mondo in cui si possa lavorare sempre bene, che tutte le cose funzionino sempre al meglio, è una cosa che al momento mi preme abbastanza”.
Come afferma Marcuse, l’artista ha il compito di immaginare i mondi possibili, le armonie altre da quelle false della retorica estetica ornamentale o dalle disarmonie fin troppo reali della vita così com’è, ma gli è sempre stato concesso questo compito sotto la condizione di mantenere l’immaginazione al livello innocuo dell’irrealizzabile, dell’irrealtà.
Oggi, per di più, il termine Utopia viene usato per demotivare al raggiungimento di un sogno o per sminuire un ideale irrealizzabile per il quale, in quanto irrealizzabile, non ha senso sprecare tempo.
L’attuale ideologia individualista, che influenza il nostro agire, i nostri progetti ed i nostri rapporti in chiave economica, potrebbe lasciarsi sfuggire l’importanza della funzione creatrice, trasformatrice e non innocua dell’utopia come ipotesi di convivenza e di condivisioni di valori e ideali. Ne sono esempi cardine “La Repubblica” di Platone e l’“Utopia” di Tommaso Moro.
Noi abbiamo voluto riaprire e dare dignità a questo tema, ricordando come tante utopie del passato siano state motore per la realizzazione di idee e cambiamenti sociali fondamentali.
Per concludere, vi riveliamo alcune delle nostre utopie: “Ci immaginiamo un mondo in cui la follia venga abbracciata, compresa e rispettata; in cui tutti possano dedicarsi a ciò che amano; in cui la libertà sia un valore centrale nella nostra società nel pieno rispetto dell’altro; in cui la responsabilità e la cura reciproca facciano parte della vita quotidiana; in cui ogni sfumatura dell’umanità venga considerata un grande tesoro”.
Vi lasciamo con un pensiero.
Perché concepire utopie se il mondo comunque non migliora? Noi crediamo che siano state motore di grandi cambiamenti e che siano fondamentali per sognare insieme ed utilizzare quella facoltà che ci ha permesso di raggiungere ciò che credevamo impossibile, l’immaginazione. Crediamo ne valga la pena parlarne perchè quando le utopie sono collettive, a quel punto, hanno un’immensa potenza ed il marcio della nostra società inizia a svanire ed al suo posto si crea un campo pieno di semi e di vita.
Ma magari ci sbagliamo
Seesaw Project
Veronica Boniotti, Valentina Pennacchio e Giuseppe Claudio Insalaco